La Responsabile del Gruppo di Ricerca è la Prof.ssa Giovanna Zamboni.
La ricerca condotta dal Gruppo ha come obiettivo quello di studiare aspetti ancora non noti riguardo malattie neurodegenerative associate a demenza quali malattia di Alzheimer e Demenza Frontotemporale nelle loro diverse manifestazioni sindromiche, comprese quelle ad esordio giovanile. Tali aspetti spaziano dall’identificazione di fattori che conferiscono vulnerabilità o resilienza allo sviluppo di demenza e alle sue diverse manifestazioni cliniche, all’individuazione di fattori che ne causano la progressione (specie quelli modificabili), sino all’approfondimento dei meccanismi cerebrali complessi che ne sono all’origine.
Le metodiche utilizzate comprendono tecniche avanzate di neuroimaging multimodale e computazionale, accurata caratterizzazione cognitivo-comportamentale e neuropsicologica, misurazione di biomarcatori.
Il Gruppo lavora nell’ambito del Centro di Neurologia Cognitiva e Neuroimaging della Demenza e partecipa a sperimentazioni cliniche controllate multicentriche di fase II e di fase III sponsorizzate sulla malattia di Alzheimer e sulla Demenza frontotemporale grazie alla stretta collaborazione con il Centro di Neurologia Cognitiva dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena.
Di seguito le principali linee di ricerca:
UnaWireD è una ricerca clinica finanziata dal Consiglio Europeo per la Ricerca (European Research Council) che ha lo scopo di comprendere i meccanismi di alcuni sintomi presenti in diverse malattie neurologiche indicati come anosognosia (mancanza di consapevolezza) e idee deliranti. Questa linea di ricerca coinvolge principalmente persone con una diagnosi di malattia di Alzheimer ma anche persone con altre malattie neurodegenerative come, per esempio, la malattia di Parkinson e la malattia di Huntington, oltre che i loro caregivers, le persone che si prendono cura di loro, siano essi familiari o amici. Inoltre, coinvolge anche persone cognitivamente sane di età, sesso e livello di istruzione simile ai pazienti reclutati, che fungono da gruppo di controllo. Ai pazienti reclutati viene chiesto di sottoporsi a valutazioni neuropsicologiche (anche ripetute nel tempo) e ad uno o più esami di risonanza magnetica cerebrale. Ai caregivers viene invece chiesto di rispondere a domande riguardanti il comportamento e la personalità del loro caro, tenendo in considerazione anche eventuali cambiamenti rispetto al passato. Anche ai controlli sani viene chiesto di sottoporsi a una valutazione neuropsicologica, a diversi questionari e ad una risonanza magnetica cerebrale.
Affinché una migliore conoscenza delle malattie che causano demenza si traduca in interventi efficaci di prevenzione e terapia, è necessario ampliare lo studio del ruolo che diversi fattori di rischio legati a stile di vita, dieta ed inquinamento ambientale hanno nella eziologia e nella progressione del disturbo cognitivo, anche studiando i fattori che determinano la variabilità clinica in presenza di identico danno neuropatologico. Gli studi condotti in questa linea di ricerca hanno come scopo quello di individuare i predittori di declino cognitivo, ovvero quali caratteristiche demografiche, neuropsicologiche, bioumorali e di imaging sono associate con una progressione più rapida e severa nel tempo, in una coorte clinica di pazienti seguiti presso il Centro di Neurologia Cognitiva dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena. per deterioramento cognitivo e diagnosi accertata o sospetta di malattia neurodegenerativa dementigena. In questi studi vengono testate specifiche ipotesi sulla associazione fra dati neuropsicologici, demografici, bioumorali, di imaging ed evoluzione clinica nel tempo del deterioramento cognitivo.
La demenza non colpisce solamente le persone anziane, ma può presentarsi anche in età più giovanile, quando l’età di esordio è inferiore ai 65 anni. Proprio per la giovane età di esordio e le caratteristiche cliniche peculiari che spesso la differenziano dalla demenza dell’età senile, la demenza ad esordio giovanile ha una ricaduta sociale ed assistenziale spesso più devastante rispetto alla demenza in età senile, andando a colpire una fascia di età in cui il paziente è ancora pienamente attivo dal punto di vista sociale, lavorativo e genitoriale. Poca attenzione ancora oggi viene rivolta allo studio specifico delle sue caratteristiche e dei bisogni che da essa derivano. La presente linea di ricerca, in corso dal 2017 grazie alla collaborazione con il Centro di Neurologia Cognitiva dell’Azienda Ospedaliero di Modena (AOU) ha dato origine a studi sulla epidemiologia delle demenze ad esordio giovanile colmando una precedente mancanza di conoscenza nel contesto internazionale, europeo e nazionale. I dati raccolti e pubblicati sono stati inseriti nelle Linee di indirizzo dell’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore della Sanità (ISS). Questa linea di ricerca, tutt’ora in corso, continua a fornire importanti informazioni su diversi aspetti della demenza ad esordio giovanile.
L’invecchiamento della popolazione è una tendenza demografica a lungo termine individuata nei decenni scorsi che diventerà sempre più evidente nell’imminente futuro. Queste evidenze statistiche ci portano a considerare come urgente l’acquisizione di conoscenze relative a questo periodo di vita. Cosa significa invecchiare? Quali sono i punti di forza e di debolezza del processo di ageing? Come organizzare l'ambiente di vita affinché sia effettivamente ricco di opportunità e non di limiti? Come le nuove tecnologie possono essere utilizzate per mettere a punto strategie di prevenzione idonee? E’ sempre più necessaria la progettazione di percorsi di sviluppo che consentano di arricchire il processo di invecchiamento di possibilità psicologiche, identitarie e relazionali. È questo il motivo per il quale il gruppo multidisciplinare di ricercatori, docenti universitari e professionisti del Territorio coinvolto nel Progetto "Lively Ageing" ha come obiettivo principale l’identificazione, la condivisione di buone prassi correlate al benessere anziano e la messa a punto in un modello di rete sostenibile, replicabile e dal valore inclusivo.
Fit for Medical Robotics mira a rivoluzionare gli attuali modelli riabilitativi e assistenziali per persone di tutte le età con funzioni motorie, sensoriali o cognitive ridotte o assenti, attraverso nuove tecnologie (bio)robotiche e digitali affini e paradigmi di continuità assistenziale che possano trarre vantaggio delle nuove tecnologie in tutte le fasi del processo riabilitativo, dalla prevenzione fino all'assistenza domiciliare nella fase cronica. Il progetto, finanziato dal MUR nell’ambito del Piano Nazionale per gli Investimenti Complementari al PNRR (PNC), si concentrerà sia sulle tecnologie già disponibili non ancora completamente validate, sia sulle tecnologie emergenti o sulle idee rivoluzionarie da esplorare nel corso del progetto. La Prof.ssa Giovanna Zamboni è responsabile scientifica per UNIMORE dello Spoke 1 “Clinical Translation & Innovation” e Principal Investigator per uno studio mirato a migliorare l’apatia in pazienti con disturbo cognitivo mediante l’utilizzo di device robotici al domicilio del paziente (RAPHAel), condotto in collaborazione con Prof.sse Benuzzi e Lui e con le Università di Genova e Firenze, ed è coinvolta in trial pragmatici rivolti a pazienti con disturbo neurocognitivo lieve e malattia di Parkinson.
I criteri diagnostici delle malattie neurodegenerative causa di demenza (fra cui la malattia di Alzheimer e demenza frontotemporale) sempre più si avvalgono, oltre che della valutazione clinica corroborata dalla valutazione neuropsicologica, anche dell’utilizzo di biomarcatori liquorali (ovvero su prelievo di liquido cerebrospinale), biomarcatori di imaging (PET e RMN) e biomarcatori genetici. L’utilizzo dei biomarcatori permette di identificare con precisione la fisiopatologia sottostante il disturbo cognitivo anche nelle fasi precoci di malattia. Gli studi del Centro di Neurologia Cognitiva e Neuroimaging della Demenza che fanno capo a questa linea di ricerca hanno come scopo sia la validazione in coorti cliniche di biomarcatori misurabili su sangue o liquido cerebrospinale sia l’ottimizzazione e lo sviluppo di biomarcatori di imaging. Fra questi studi rientra, ad esempio, il progetto P-DOT (Diagnostics of Alzheimer’s Disease with Label Free Organic Transistors). Lo studio P-DOT, che prevede competenze interdisciplinari che spaziano dalla chimica dei materiali alla neurologia clinica, ha come scopo lo sviluppo di un biosensore label-free per la rilevazione di p-tau in pazienti con malattia di Alzheimer.